lunedì 28 marzo 2016

Durezza affettuosa: Ecco come trattare la marea profughi una volta arrivata

Di Mohammed Cattaneo


Mentre dalle pagine di “Libero” e “Giornale” scatta l’attacco verso l’Islam e tutti i musulmani e l’ex presidente del Consiglio Massimo d’Alema suggerisce dedicare sempre nuovi fondi alle mosche e le società islamiche senza risistemare la problematica struttura della comunità scatenando l’ira della metà destra (e l’altro quarto ragionevole) Paese, si rischia nuovamente di perdere il bandolo della matassa, come si  ha, peraltro, anche fatto dopo le stragi di Parigi.
Col senno di poi si vede ben precisa cos’è andato storto. Una micidiale pavidità nei confronti di politiche reali sul territorio combinati con retorica ardente sconfinante nel demagogico, allontanando così anche i ceti moderati delle comunità musulmane, che invece sarebbero stati decisivi per contrastare la radicalizzazione di ulteriori segmenti della comunità immigratoria e fonti indispensabili dei servizi d’intelligence per prevenire attacchi successivi.
Il caso del Belgio è emblematico per una politiche migratorie e d’integrazione completamente fallite. Nel nome di una finta correttezza politica invece di contrastare i problemi reali le autorità belghe li ignorava a scanso di provocazioni e perdite di voti tra le comunità migratorie. Ai servizi d’intelligence venne impedito, poi anche vietato analizzare i dati raccolti nei distretti ad alto rischio trascinandoli in una disfunzionalità di fronte alla quale lo spettatore oggettivo non fa che rimanere colla bocca spalancata. Per colmo di sventura anche la varie unità dei 007 stesse si dilaniavano per animosità e gelosie territoriali e etno-linguistiche. La collaborazione tra le sezioni vallone, vale a dire francesi, e fiamminghe era inesistente quanto quella tra i ministeri  coinvolti, quindi quello dell’Interno e quello della giustizia.
Così si creava un terreno fertile per l’attività nefasta di organizzazioni integralisti  e di matrice jihadista che colmavano gli spazioni lasciati aperti dalle èlite politiche e societarie e dallo stato di diritto un po’ più in generale. È qui che si nasconde difatti la falla decisiva determinante della politica d’accoglienza del Belgio e la ragione per la quale è così clamorosamente fallita come la è.
I servizi d’intelligence disarticolati e il sistema di sicurezza disastroso e fallimentare non sono, infatti, una particolarità belga, bensì un fenomeno piuttosto dispiegato in tutta l’Europa.  Da citare per mo’ d’esempio i Paesi Bassi o anche l’Austria, Paese che gode di addirittura tre servizi d’intelligence, che tutti i tre sono inetti a monitorare la vasta topografia salafita e integralista del Paese non riuscendo a scongiurare a radicalizzazione dei giovani musulmani del Paese.
Così l’Austria è divenuta la seconda nazione europea per il numero di foreign fighters, nonpertanto il livello di sicurezza soggettiva e anche reale sono incomparabilmente più alti rispetto alla Nazione cuore d’Europa. È questo il frutto di una politica sociale profondamente diversa nei due Paesi. Mentre il Belgio, in virtù di un finto e disonesto politicamente coretto, promuoveva e tuttora promuove il multiculturalismo, idea astratta che funziona soltanto nelle menti degli intellettuali buonisti di sinistra boldriniana, mentre sul campo suscita segregazione e ghettizzazione e di seguito la creazione di società parallele categoricamente isolate dal collettivo nazionale, l’Austria punta a una politica profondamente discorde, all’inserimento sociale, con tutto ciò che questa parola (parolaccia nelle orecchie dei Nichi Vendola e Laura Boldrini di questo Paese e di questo continente) implica.
Inserimento sociale, vale a dire l’inserimento dei nuovi arrivati colla propria cultura nel maggior quadro della cultura che li accoglie. Quindi non due culture che si miscelano come lo pretende il fallimentare multiculturalismo, ma una cultura dominante, quella del Paese accogliente, e altre, quelle dei profughi e migranti in arrivo, che devono essere, se necessario forzosamente, sottoposte alla civiltà della nazione accogliente per agevolare e in fondo garantire coesione sociale, stabilità politico-economica e di seguito l’accettazione e il gradimento delle migrazioni dalla parte dell’opinione pubblica. Tramite la ragionevolezza dell’inserimento sociale viene creato un clima disteso  e un campo fertile per lo scambio tra i nuovi arrivati e la popolazione native. Si evitano quindi la ghettizzazione e le società parallele  così inclini alla radicalizzazione.  Coll’inserimento sociale invece si facilita lo scambio interculturale e allentando così la pressione sociale, specificamente l’ostilità della popolazione maggioritaria verso le comunità migratorie.
Più durezza nelle politiche dell’integrazione, per mo’ d’esempio tramite cosiddette scuole dei valori, com’è prassi usata, peraltro, anche in Israele, Paese fin dai principi ha dovuto e anche voluto fare i conti con onde migratorie sproporzionali, quindi porta con sé più multiculturalità del multiculturalismo stesso. L’inserimento sociale è quindi la strada (pur essendo certamente anche impervia) da seguire nei confronti delle comunità migratorie. Per quanto riguarda l’apparato di sicurezza serve invece una strategia ben più dura e inesorabile.
Non è accettabile, quanta drammatica sia anche l’emergenza, che centinaia di mille d’individui varchino le frontiere esterne dell’Unione senza essere né controllati, né registrati, né smistati in maniera controllata per i Paesi membri, che invece si dovrebbe fare. Come altresì agevolare e sostenere il lavoro dei servizi d’intelligence invece di ostacolarlo nel nome di una “privacy”. Questa  battaglia rientrerà perfettamente nei principi liberali, stella polare da seguire. Però qualche volta bisogna intraprendere anche dei giretti per arrivare sani e salvi alla meta.  Ad esempio in questo caso. Perché il nemico da contrastare non è per niente debole.

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