lunedì 28 marzo 2016

Durezza affettuosa: Ecco come trattare la marea profughi una volta arrivata

Di Mohammed Cattaneo


Mentre dalle pagine di “Libero” e “Giornale” scatta l’attacco verso l’Islam e tutti i musulmani e l’ex presidente del Consiglio Massimo d’Alema suggerisce dedicare sempre nuovi fondi alle mosche e le società islamiche senza risistemare la problematica struttura della comunità scatenando l’ira della metà destra (e l’altro quarto ragionevole) Paese, si rischia nuovamente di perdere il bandolo della matassa, come si  ha, peraltro, anche fatto dopo le stragi di Parigi.
Col senno di poi si vede ben precisa cos’è andato storto. Una micidiale pavidità nei confronti di politiche reali sul territorio combinati con retorica ardente sconfinante nel demagogico, allontanando così anche i ceti moderati delle comunità musulmane, che invece sarebbero stati decisivi per contrastare la radicalizzazione di ulteriori segmenti della comunità immigratoria e fonti indispensabili dei servizi d’intelligence per prevenire attacchi successivi.
Il caso del Belgio è emblematico per una politiche migratorie e d’integrazione completamente fallite. Nel nome di una finta correttezza politica invece di contrastare i problemi reali le autorità belghe li ignorava a scanso di provocazioni e perdite di voti tra le comunità migratorie. Ai servizi d’intelligence venne impedito, poi anche vietato analizzare i dati raccolti nei distretti ad alto rischio trascinandoli in una disfunzionalità di fronte alla quale lo spettatore oggettivo non fa che rimanere colla bocca spalancata. Per colmo di sventura anche la varie unità dei 007 stesse si dilaniavano per animosità e gelosie territoriali e etno-linguistiche. La collaborazione tra le sezioni vallone, vale a dire francesi, e fiamminghe era inesistente quanto quella tra i ministeri  coinvolti, quindi quello dell’Interno e quello della giustizia.
Così si creava un terreno fertile per l’attività nefasta di organizzazioni integralisti  e di matrice jihadista che colmavano gli spazioni lasciati aperti dalle èlite politiche e societarie e dallo stato di diritto un po’ più in generale. È qui che si nasconde difatti la falla decisiva determinante della politica d’accoglienza del Belgio e la ragione per la quale è così clamorosamente fallita come la è.
I servizi d’intelligence disarticolati e il sistema di sicurezza disastroso e fallimentare non sono, infatti, una particolarità belga, bensì un fenomeno piuttosto dispiegato in tutta l’Europa.  Da citare per mo’ d’esempio i Paesi Bassi o anche l’Austria, Paese che gode di addirittura tre servizi d’intelligence, che tutti i tre sono inetti a monitorare la vasta topografia salafita e integralista del Paese non riuscendo a scongiurare a radicalizzazione dei giovani musulmani del Paese.
Così l’Austria è divenuta la seconda nazione europea per il numero di foreign fighters, nonpertanto il livello di sicurezza soggettiva e anche reale sono incomparabilmente più alti rispetto alla Nazione cuore d’Europa. È questo il frutto di una politica sociale profondamente diversa nei due Paesi. Mentre il Belgio, in virtù di un finto e disonesto politicamente coretto, promuoveva e tuttora promuove il multiculturalismo, idea astratta che funziona soltanto nelle menti degli intellettuali buonisti di sinistra boldriniana, mentre sul campo suscita segregazione e ghettizzazione e di seguito la creazione di società parallele categoricamente isolate dal collettivo nazionale, l’Austria punta a una politica profondamente discorde, all’inserimento sociale, con tutto ciò che questa parola (parolaccia nelle orecchie dei Nichi Vendola e Laura Boldrini di questo Paese e di questo continente) implica.
Inserimento sociale, vale a dire l’inserimento dei nuovi arrivati colla propria cultura nel maggior quadro della cultura che li accoglie. Quindi non due culture che si miscelano come lo pretende il fallimentare multiculturalismo, ma una cultura dominante, quella del Paese accogliente, e altre, quelle dei profughi e migranti in arrivo, che devono essere, se necessario forzosamente, sottoposte alla civiltà della nazione accogliente per agevolare e in fondo garantire coesione sociale, stabilità politico-economica e di seguito l’accettazione e il gradimento delle migrazioni dalla parte dell’opinione pubblica. Tramite la ragionevolezza dell’inserimento sociale viene creato un clima disteso  e un campo fertile per lo scambio tra i nuovi arrivati e la popolazione native. Si evitano quindi la ghettizzazione e le società parallele  così inclini alla radicalizzazione.  Coll’inserimento sociale invece si facilita lo scambio interculturale e allentando così la pressione sociale, specificamente l’ostilità della popolazione maggioritaria verso le comunità migratorie.
Più durezza nelle politiche dell’integrazione, per mo’ d’esempio tramite cosiddette scuole dei valori, com’è prassi usata, peraltro, anche in Israele, Paese fin dai principi ha dovuto e anche voluto fare i conti con onde migratorie sproporzionali, quindi porta con sé più multiculturalità del multiculturalismo stesso. L’inserimento sociale è quindi la strada (pur essendo certamente anche impervia) da seguire nei confronti delle comunità migratorie. Per quanto riguarda l’apparato di sicurezza serve invece una strategia ben più dura e inesorabile.
Non è accettabile, quanta drammatica sia anche l’emergenza, che centinaia di mille d’individui varchino le frontiere esterne dell’Unione senza essere né controllati, né registrati, né smistati in maniera controllata per i Paesi membri, che invece si dovrebbe fare. Come altresì agevolare e sostenere il lavoro dei servizi d’intelligence invece di ostacolarlo nel nome di una “privacy”. Questa  battaglia rientrerà perfettamente nei principi liberali, stella polare da seguire. Però qualche volta bisogna intraprendere anche dei giretti per arrivare sani e salvi alla meta.  Ad esempio in questo caso. Perché il nemico da contrastare non è per niente debole.

sabato 26 marzo 2016

Bruxelles (ed Europa) Vs Jihad: problema di volontà politica, prima che di intelligence

Di Andrea Merlo(*)

A poche ore dai drammatici fatti di Bruxelles, pur disponendo di frammentarie informazioni e di bilanci ancora parziali, è tuttavia possibile cercare di individuare alcune chiavi di interpretazione della situazione attuale sia belga sia più generalmente continentale, nel tentativo di consegnare un quadro analitico delle debolezze e problematiche che investono, ormai con assoluta urgenza, la sicurezza europea. Innanzitutto, il quarto grande evento terroristico condotto sul territorio europeo dopo Londra, Madrid e Parigi, ci ricorda come la strategia jihadista sia tutt’altro che “folle” e “irrazionale”: le formazioni jihadiste, comunque composte (lupi solitari, cellule homegrown, returnees, reti transnazionali) si attivano anche in base a logiche ben precise e del tutto razionali. Con ogni evidenza, per le modalità di esecuzione e per la complessità insista in un’operazione che prevede azioni sostanzialmente simultanee (come nel caso di Londra e Parigi), si tratta di un attacco organizzato da tempo e ben congegnato, a ulteriore riprova del salto di qualità logistico già dimostrato da parte delle cellule radicali autoctone. Un piano senz’altro in cantiere da tempo, quindi, che non è fuori luogo ipotizzare sia scattato in risposta all’operazione di polizia che ha condotto all’arresto di Salah proprio a Molenbeek, la “Raqqa d’Europa”. Con ogni probabilità, l’azione terroristica ha una forte componente mediatica: i gruppi jihadisti attivi nel cuore della capitale dell’UE hanno inteso dimostrare la propria vitalità operativa e capacità di reazione. – la rivendicazione da parte di Daesh (e non della rete di Al Qaeda) suggerisce inoltre che l’attacco odierno risponda anche ad una precisa esigenza avvertita dalla dirigenza dello Stato Islamico: in difficoltà sul piano bellico nello scacchiere siro-iraqeno, e di fronte ad una contrazione del flusso di foreign figthers diretti nei territori controllati dall’esercito di Al Baghdadi (in aggiunta a fenomeni di diserzioni tra le fila dei miliziani di ISIS), Daesh deve dimostrare la propria forza, se non bellica, almeno attrattiva e mediatica tanto al mondo occidentale quanto ai suoi potenziali aderenti e simpatizzanti. Anche portando a termine – o ispirando – attacchi in grande stile sul modello parigino (come molte agenzie di informazione e sicurezza avevano previsto già alla fine del 2015). – sul piano della politica di sicurezza, i fatti di Bruxelles confermano ulteriormente come la minaccia jihadista abbia smesso i tradizionali panni del improvvisazione logistica e dell’adesione settaria, minoritaria e fanatica, per vestire quelli di una strategia che, sul piano organizzativo, potremmo definire di “anarchismo coordinato”, in grado di autosostenersi nei territori europei grazie ad una radicalizzazione religioso-culturale penetrata in profondità nella mente e nel corredo valoriale di un numero preoccupante di musulmani europei. A dispetto della interpretazione diffusa, il problema non si colloca tanto a livello di apparati di sicurezza, quanto piuttosto fondamentalmente sul piano dell’indirizzo politico: è infatti la mancanza di volontà/capacità politica di individuare la cifra esatta della minaccia (con i suoi sfuggenti connotati, le sue origini e i complicati meccanismi nazionali, internazionali e transnazionali di finanziamento e sostegno) che impedisce agli apparati di prevenzione e repressione di far fronte coerentemente e con sufficiente efficacia a manifestazioni di radicalismo sempre più catastrofiche. L’intreccio tra incapacità politiche e inadeguatezza degli apparati di sicurezza ha generato pertanto problematiche che affiorano oggi, con prepotente e sconcertante violenza, sia nella dimensione nazionale (belga e non solo) che sul piano euro-continentale. prospettiva nazionale belga – le autorità belghe hanno dimostrato, oltre che scarse capacità di presidio del territorio, anche e soprattutto una imbarazzante difficoltà nell’ottenere la collaborazione “civica” delle comunità dei quartieri bruxellesi a maggiore presenza islamica, giungendo rocambolescamente alla cattura di Salah dopo mesi di una latitanza definita da taluni come “mafiosa”, poiché sostanzialmente garantita e protetta dalla connivenza di buona parte degli abitanti della commune di Molenbeek. Questo rappresenta il preoccupante risultato della prolungata sottovalutazione politico-governativa delle conseguenze della penetrazione del radicalismo di matrice islamica nel tessuto sociale della comunità islamica bruxellese (e belga in generale). Le autorità politiche non hanno compreso appieno la natura e le conseguenze, sul piano della sicurezza interna, dell’attentato al Museo Ebraico del maggio 2014, primo evento terroristico nella capitale d’Europa e momento che ha chiaramente segnato il passaggio di Bruxelles da centro meramente logistico del jihad europeo a testa di ponte operativa e possibile teatro di guerra asimmetrica. L’incapacità politica di cogliere la portata dell’escalation lanciata dalla filiera terroristica ha impedito agli apparati di sicurezza, già ridimensionati sin dai primi anni ’90, di operare avvalendosi di risorse, mezzi e (soprattutto) strumenti di analisi e di reazione adeguati ai segnali di “attivazione terroristica” in rapido aumento sul suolo belga. Nulla può l’intelligence (specie se depotenziata) quando gli organi di direzione politica ignorano troppo a lungo (spesso per miopi ragioni elettorali) le dimensioni di una minaccia concreta, e non approntano pertanto le necessarie misure sul piano dell’attività di counterterrorism. prospettiva nazionale europea – le fragilità del contesto socio-politico e del sistema di sicurezza interna si sono manifestate con particolare evidenza in Belgio, ma altri Paesi europei non sono esenti dallo stesso genere di debolezze. L’incapacità (o la non-volontà) delle élites politiche europee di interpretare e affrontare per tempo la minaccia del jihad globale è la principale causa dell’inefficacia dell’attività di prevenzione e repressione della radicalizzazione islamica. Pur senza le adeguate risorse e in mancanza di strumenti adatti a comprendere analiticamente l’evoluzione sociale, organizzativa e logistica della filiera terroristica, in alcuni casi le agenzie di informazione e sicurezza sono state in grado di avvertire il decisore politico circa la possibilità di attacchi in grande stile, ma non sempre con successo (anche l’intelligence belga, secondo quanto riportano alcune agenzie, avrebbe avvertito il governo dell’imminenza di un attacco). Disattenzione (e sottovalutazione) politica o meno, è necessario ora che i governi europei, singolarmente presi, ridisegnino lo schema delle priorità politiche interne, consegnando al tema della sicurezza interna la giusta attenzione e dotando le rispettive agenzie di sicurezza e gli organismi di law-enforcement di risorse tecniche ed umane in grado di penetrare nella intricata trama del jihad europeo, contro il quale nulla o quasi possono le logiche e gli strumenti di analisi dell’intelligence tradizionale (difesa militare, controspionaggio politico, etc…). Attualmente, sul terreno informativo e preventivo, gli organismi di molti Paesi europei sono ancora inadeguati ad affrontare al meglio una sfida non futuribile, ma attuale e drammaticamente urgente. prospettiva europea comunitaria – occorre sgombrare il campo da un grossolano equivoco, che anche oggi, come dopo ogni dramma di queste dimensioni, riecheggia nel dibattito pubblico: il coordinamento dell’intelligence a livello europeo. A parte alcuni meccanismi di dialogo intergovernativo, è impossibile immaginare in ambito UE una vera e propria cooperazione capace di mettere a sistema comune un volume di informazioni utile e sufficiente ad affrontare efficacemente il problema. Questo fondamentalmente per più motivi: innanzitutto, lo scambio di informazioni tra servizi nazionali di informazione e sicurezza avviene regolarmente, nel quadro però di un “mercato” fondato sulla logica del baratto. E’ impensabile che le agenzie nazionali si scambino, in piena e spontanea sinergia, i rispettivi patrimoni informativi, che rappresentano il prodotto finale dell’utilizzo di forze e risorse sia umane che finanziarie e tecnologiche, impiegate in base alla definizione degli interessi strategici strettamente nazionali. Un meccanismo di cooperazione di intelligence continentale a “vasi automaticamente comunicanti” sarebbe pensabile solo all’interno di una quadro istituzionale europeo di tipo federale (per ora solo teorico, per quanto possa a taluni apparire la struttura di governance più adatta per affrontare una minaccia terroristica transnazionale per definizione). Inoltre, per essere efficace, un ipotetico coordinamento dovrebbe coinvolgere non solo le agenzie governative, ma anche le strutture informative che operano all’interno di grandi realtà economico-industriali: un passo di ancora più complicata realizzabilità. Infine, sarebbe necessario anche il coinvolgimento di agenzie extra-europee, considerando come alcune operazioni di polizia negli ultimi anni abbiano visto tra i soggetti coinvolti aspiranti terroristi extra-europei (per esempio dalla Cecenia o dal Daghestan), e non solo cittadini propriamente europei. In definitiva, per le regole e le logiche che governano il complicato mondo dell’intelligence, un organismo di coordinamento automatico ed istituzionalizzato tra le agenzie europee veramente efficace è sostanzialmente fuori dal novero delle possibilità, e lo sarà ancora per molto tempo, quantomeno fino ad una ipotetica e futuribile Europa federale. Allo stato attuale e nel breve-medio periodo, è auspicabile il rafforzamento di meccanismi ci scambio di informazioni, senza tuttavia che il prodotto di tale collaborazione inter-agenzie possa dirsi quantitativamente e qualitativamente soddisfacente, considerando come le informazioni utili non sono necessariamente e soltanto quelle in possesso delle sole agenzie governative europee, ma anche di quelle extra-continentali (mediorientali-mediterranee, russe, statunitensi, etc…) e di quelle non statuali. Non potendo attendere una salvezza dal jihad che l’UE non è istituzionalmente in grado di garantire (almeno nel breve-medio periodo), è necessario che i governi del continente, in aggiunta agli auspicabili (ma non sufficienti) sforzi di collaborazione bi- e multilaterale, ridisegnino il quadro delle priorità nazionali nel campo della sicurezza domestica, dotando gli apparati preposti di risorse e strumenti di analisi e previsione adeguati, e prendendo coscienza della improcrastinabilità di coraggiose scelte politiche in grado di disinnescare le dinamiche socio-culturali (id est, anche intraprendendo misure ai vari livelli di governo volte alla de-radicalizzazione religioso-culturale) che hanno alimentato la parabola evolutiva del radicalismo di matrice islamica in Occidente. E, non ultimo, mettendo da parte il consolidato atteggiamento (di governi e UE) di “ambiguità” nei confronti di attori -politici e non- che dall’esterno hanno alimentato il brodo culturale (e riempito le casse) delle casematte del jihadismo in Europa.

*apparso su www.geopolitica.info, centro studi di geopolitica e relazioni internazionali: http://www.geopolitica.info/bruxelles-jihad-terrorismo-europa/

L’Italia non ha paura

L’Italia non ha paura: Inutile fingere che non sia successo niente: questa Pasqua non sarà come le altre. L’onda dell’orrore per i fatti di Bruxelles non si è ancora ritratta nel mare d’odio da cui è venuta.
A ragione o...

giovedì 24 marzo 2016

La parte più vitale del Paese

Di Massimo Russo (*)

I Paesi che sanno trasformare i nuovi arrivati in cittadini sono quelli che crescono di più. E che attirano l’immigrazione di qualità: le persone con un grado di scolarità maggiore.  
Ecco perché, prima ancora che per ragioni di giustizia sociale, le politiche per l’immigrazione e lo ius soli - ovvero la possibilità di diventare cittadini per gli stranieri che nascono in Italia - sono un investimento sul nostro domani. La legge per lo ius soli, approvata alla Camera a dicembre, staziona al Senato. Ufficialmente senza una ragione precisa, ufficiosamente perché la maggioranza teme che la sua approvazione potrebbe essere un boomerang, utilizzato da chi brandisce come una clava la paura del diverso. I politici ritengono che gli italiani non siano pronti ad accettare i nuovi italiani, stranieri che diventano connazionali per nascita.

http://www.lastampa.it/rf/image_lowres/Pub/p3/2016/03/17/Italia/Foto/RitagliWeb/0KYNY0GL3092-keyB-UuMLp5LzefA5WRi-1024x576@LaStampa.it.jpg

Ma il nostro problema è un altro. La qualità degli immigrati che scelgono l’Italia oggi è più bassa di quanti cercano una nuova vita in altri Paesi europei. Non siamo una destinazione attraente per i migliori. Lo dimostrano i dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Tra il 2000 e il 2010 il tasso di stranieri laureati è cresciuto di oltre 15 punti in Danimarca, di più di 10 in Germania e Gran Bretagna, del 5% circa nella media dei Paesi Ocse. In Italia, Spagna, Portogallo e Grecia invece è diminuito. Nella Penisola tra 2009 e 2014 è salita la quota degli stranieri analfabeti (+2,1), e oltre un terzo dei nuovi arrivati ha la qualifica di operaio. Nonostante ciò, già oggi gli immigrati sono nella fascia più vitale della popolazione. Le imprese individuali aperte da cittadini di provenienza extraeuropea l’anno scorso sono state quasi 50 mila, e hanno raggiunto quota 350 mila, un decimo del totale. Si tratta per la maggior parte di artigiani e commercianti, che contribuiscono allo stato sociale, alla crescita del prodotto interno lordo, fanno spesso mestieri che noi italiani, invecchiati, non gradiamo più. Seicentomila persone ricevono la pensione grazie ai contributi degli extracomunitari.

Ma non basta. Coloro che hanno una scolarità più alta, oltre ad avere una migliore posizione socio-economica sono anche quelli che si integrano di più, che sono pronti a mescolare l’identità del Paese che li accoglie con la propria. E sapere che i propri figli saranno cittadini a tutti gli effetti, con diritti e doveri uguali a quelli di qualsiasi altro europeo, è importante. Gli stranieri musulmani che vivono negli Stati Uniti, ad esempio, stando a un’indagine dell’istituto Pew, prima della loro appartenenza religiosa si sentono americani, reputano l’integralismo un grave problema, ritengono la condizione femminile migliore in Occidente che nei Paesi islamici. In Europa spesso non è così.

Non c’è da meravigliarsi se negli Usa le imprese di maggior successo sono create da stranieri di prima o seconda generazione: sono loro gli americani più brillanti. Basta guardare ai quattro colossi del digitale: uno dei due fondatori di Google, Sergey Brin, è nato a Mosca; il padre di Steve Jobs di Apple era siriano; il patrigno di Jeff Bezos di Amazon era un migrante cubano che imparò da solo l’inglese dopo esser arrivato in America a 15 anni; infine uno dei cofondatori di Facebook, Eduardo Saverin, è brasiliano. È sufficiente visitare i distretti dell’innovazione per rendersi conto che India ed Estremo Oriente sono le regioni più rappresentate.

Il contratto sociale è semplice. Un Paese certo della propria identità culturale offre opportunità e pretende rispetto da chiunque vi si voglia riconoscere. E ottiene in cambio l’orgoglio di diventarne cittadino.

*Apparso sul sito web de "La Stampa", quotidiano di Torino, il 24/03/2016. Link:http://www.lastampa.it/2016/03/18/cultura/opinioni/editoriali/la-parte-pi-vitale-del-paese-hMWhv2vUAHALKs54KhEAnN/pagina.html
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Guerre fratricide e assassini cesarei: La tragedia del naufragio del centrodestra

Di Mohammad Catttaneo

Qualcuno dica un’altra volta che la storia non si ripete. La guerra dei fratelli, il fuoco amico, che a Roma hanno una grande tradizione risalente ai giorni della prima repubblica romana. Infatti, si possono individuare parallelismi impossibili da lasciarsi scappare. Lo strisciante smantellamento del centrodestra coniato da Berlusconi è reminiscente di una tragedia/commedia (dipende sempre dall’angolazione) con attori, purtroppo di secondo ordine, che stanno involontariamente riesibendo la tragica fine dell’antica repubblica romana. Con tutte le sue fratricide, parricidi e sparatorie immotivate.
 
La bomba nel centrodestra la innescarono già nel 2013, quando il tanto amato pupazzo e successore designato del grande leader Silvio Berlusconi, decise di aver aspettato abbastanza che il maximo lider gli affidasse la guida dell’area moderata. Da aspirante inflisse il colpo mortale a un Cavaliere Cesare il quale, essendo coinvolto in vicende giudiziarie varie, sembrava soffrire un momento di massima difficoltà. Alfano lascia un Cavaliere non ancora deceduto ma condannato a una lunga ed addolorante agonia e coi fedelissimi fonda il partito dei assassini cesarei, dei traditori (cf. Berlusconi), ossia NCD. La fortuna tradisce Alfano e l’NCD: Soffocato dall’abbraccio mortale dei nuovi amici nel PD nemico di classe. Come Bruto si fuga nel suicidio (politico) e si accontenta fare l’appendice vermiforme del Partito della Nazione. Vale a dire il PD.
http://newsitaliane.it/wp-content/uploads/2015/07/Silvio-Berlusconi-lancia-nuovo-progetto-politico-LAltra-Italia-ma-non-rottama-Forza-Italia.jpg
Siamo arrivati alla fine del primo atto. Abbiamo un Bruto affondato, un Cesare fantasma e un centrodestra disarticolato fino all’inesistente, la cui importanza politica sconfina nell’irrilevanza. Adesso cosa succede? Agisce il fantasma di Cesare. Pur essendo clinicamente morto, la forza combattiva della mummia suprema del partito supera ancora quella di coloro che gli vogliono rubare il posto (Raffaelle Fitto chi??). E si ricorda del ragazzotto belloccio col quale aveva cenato alla sua residenza qualche anno prima. Idee politiche: Simili. Personalità: Simile. Etica e morale: Nulla. Perfetto! Unico problema: Partito sbagliato. Chi se ne frega. Entrano in scena Renzi-Ottaviano-Augusto e il Patto del Nazareno.

Sennonchè non tutti gli amici di Cesare Berlusconi sono disposti ad accettare questa nuova realtà. Dai bassifondi della Padania appare un combattente col pugno di ferro, un uomo della guerra che si possiede grande forza, al quale mancano però un po’ l’intellettualità e sofisticazione per guidare il Paese. Quindi si aggiunge a lui la principessa finora nascosta nelle tenebre di Alleanza Nazionale che il cervello ce l’ha, la base popolare invece no. Si riuniscono al gruppo quindi Marco Antonio – Salvini e Cleopatra – Meloni.
Un anno e mezzo dopo è finalmente giunto il momento. Il fantasma Cesare-Berlusconi e il figlio adottivo Ottaviano-Renzi hanno rotto. Bruto-Alfano e compagni sono definitivamente divenuti preda del fuoco amico di Family Day e Stepchild Adoption. E la congeniale coppia Marco Antonio – Cleopatra (cioè Salvini-Meloni) finalmente esce dal cono d’ombra del fantasma del maximo lider affondando la candidatura di Bertolaso e quindi anche Berlusconi stesso. È giunto il giorno della battaglia finale. Di nuovo a Roma, si gioca la sopravvivenza tra gli avanzi del centrodestra guidato da Marco Antonio e Cleopatra e Ottaviano. Un nuovo Actium. Magari però il risultato questa volta è diverso. È una terza potenza (femminile) fa fuori entrambi gli eserciti. Dando adito a un futuro incerto. Una storia nuova.


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L'Europa rispolvera le misure addotate novembre dopo il Bataclan

I ministri degli Esteri e dell’Interno si incontreranno per valutare le nuove misure da adottare. Ma quelle che decise a Parigi non hanno funzionato

Di Marco Zatterin(*)

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 Incapacità o debolezza? O cosa? Tra poco si incontrano a Bruxelles i ministri degli Interni e della Giustizia dell’Unione europea. È una riunione straordinaria convocata d’urgenza dopo l’attacco terroristico nella capitale belga ed europea. Del tutto simile sulla carta a quelle seguite alle stragi parigini, al sangue di Charlie Hebdo e al massacri parigini di novembre. Allora le promesse e gli impegni furono alti e roboanti. Le ricadute, quasi nulle.

Oggi si rischia di fare il tris. Secondo la bozza di conclusioni del consiglio, i ministri suggeriscono di giocare la carta del rafforzamento della vigilanza online, creando un’alleanza con i provider Tlc e digitali per tracciare in modo più puntuale i movimenti dei jihadisti e dei loro network. L’idea è di mettere in piedi entro giugno un intervento legislativo che consenta di elaborare e coordinare meglio la ricerca di prove digitali dei movimenti fisici e finanziari dei terroristi. Era ora, si potrebbe dire.
Ma un testo legislativo di qui a tre mesi, con la possibilità che entri in vigore entro fine anno, non è un granché quando ci sono in giro 400 pazzi che mirano alle centrali nucleari. Adesso, per giunta.

 La Commissione europea insiste nel chiedere la costruzione immediata di una agenzia di Intelligence a ventotto, una vera cabina di regia per i ventotto governi. Molti governi, Germania in testa, non sono favorevoli. Sarebbe l’unico modo per superare le gelosie fra i sistemi di inchiesta nazionali. La minaccia è globale e così dovrebbe essere la risposta. Siamo tuttavia ancora parecchio lontani. Come lo siamo dall’agenzia anti jihad avanzata dalla Francia lo scorso autunno.

Potrebbe andare avanti – ma doveva già succedere lo scorso anno – l’approvazione del registro europeo dei passeggeri, il cosiddetto Pnr. Serve a custodire i dati di chi viaggia dalla carta di credito usata per acquistare il biglietto al vettore usato, compresi i voli interni. Sarà adottato «nelle prossime settimane», dice la bozza. Davvero? In realtà molti gruppi politici temono per gli effetti sulla Privacy, mentre altri fanno notare che è una misura parziale. Senza contare che, secondo l’autorità per la Privacy europea, è una misura che non sopravvivrebbe un ricorso alla Corte di Giustizia Ue perché in violazione dei diritti fondamentali dei cittadini.

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Nella bozza i governi si impegnano a un miglio coordinamento e uno scambio di informazioni. Sappiamo che il dialogo ha funzionato male, sinora. Invitano anche a condurre in modo «più sistematico» i controlli alle frontiere esterne dell’area Schengen. Dovrebbero averlo fatto da mesi. Peccato che, come in pochi sembrano aver capito davvero, i terroristi sono nati e vivono nelle nostre città.

*Apparso sul sito web de "La Stampa", quotidiano di Torino, il 24/03/2016, Maro Zatterin è il correspondente de "La Stampa" . Link: http://www.lastampa.it/2016/03/24/esteri/vertice-straordinario-a-bruxelles-sul-terrorismo-saKOGZsv58bTgnh3eSrGQO/pagina.html

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